Tesi di: Ilaria Staboli
Come per tutte le lingue parlate anche quelle segnate si sono formate nel tempo e all’interno di una comunità che aveva la necessità di comunicare. La storia della lingua dei segni ha vissuto alti e bassi, periodi di proibizione e di riconoscimento ed è fortemente legata alla storia della comunità sorda.
Le prime testimonianze scritte sulla lingua dei segni e i sordi risalgono al 400 a.C. quando i grandi filosofi come Socrate e Aristotele, si accorgono di questa comunicazione gestuale che usava dei segni e non la voce. I sordi all’epoca erano infatti considerati privi di intelletto e di ragione. Nello stesso periodo anche in Grecia Platone rifletteva sull’esistenza di questo tipo di comunicazione. La sua riflessione la si può analizzare nell’opera Cratilo dove il personaggio di Socrate afferma: “[...] se non avessimo né voce né lingua e volessimo a vicenda manifestarci le cose, non cercheremmo, come ora i muti, di significarle con le mani, con la testa e con le altre membra del corpo?". Due secoli prima a Roma si stava sviluppando il culto per la perfezione fisica ereditato dai Greci, questo ha fatto sì che qualunque bambino fosse nato con delle patologie o altre problematiche era destinato alla morte. Nel 735 a.C. con un decreto, Romolo estese la fascia d’età sino ai tre anni. Questa imposizione provocò la morte di numerosi bambini sordi, una sorte meno brutale toccò ai bambini appartenenti a famiglie nobili come a un certo Quinto Pedio, nipote di Gallio Giulio Cesare; in quanto sordo e nobile gli fu permesso e concesso di coltivare il suo interesse artistico.
Tra il 527 e il 565 d.C. sotto l’imperatore Giustiniano I si assistette a un cambio di rotta, vennero concessi pieni diritti legali ai sordi che, pur non essendo in grado di parlare, riuscivano perlomeno a scrivere.
Poche sono invece le informazioni che provengono dal Medioevo. A causa della mancanza di un istituto per sordi, questi venivano isolati e costretti dunque a fare difficoltà a comunicare con la comunità nella quale vivevano. Usavano comunque dei segni ma elaborati da loro stessi non avendo punti di riferimento, erano segni che andavano oltre il gesto mimico e che poi hanno creato le premesse per una lingua dei segni vera e propria. In campo medico invece si assistette a un’inversione di marcia in quanto si ipotizzava che la causa del mutismo fosse il frenulo e la presenza di nervi comuni alla bocca e all’orecchio. Un’altra ipotesi si basava sull’idea che la bocca fosse collegata alle trombe d’Eustachio, per questo si urlava nella bocca della persona sorda credendo che questa potesse sentire le urla.
Qualche altra rara testimonianza proviene dal IV secolo grazie al monaco e teologo San Geronimo, il quale sosteneva che i sordi potessero apprendere il Vangelo grazie all’uso dei segni.
A partire dal 1500 prende piede un’educazione elitaria e oralista nelle famiglie nobili spagnole per educare i bambini sordi e affidata ai preti, i quali erano considerati i portatori del sapere. Partita dalla Spagna questo tipo di educazione si espande in tutta Europa grazie anche alla diffusione di libri e manuali sull’educazione. Sempre in quel periodo un monaco benedettino, Pedro Ponce de Léon, si prende carico dell’educazione di alcuni bambini sordi sempre della nobiltà spagnola. Nonostante non si abbia la certezza che sia stato lui il padre di questo tipo di educazione, è certo che sia stato il primo a dimostrare pubblicamente i risultati ottenuti.
Il lavoro del monaco è stato poi portato avanti da Pablo Bonet, il quale si fa carico dell’insegnamento del suono della lingua parlata aiutando l’apprendimento con un alfabeto manuale. Bonet è anche autore dell’opera Semplificazione delle lettere dell’alfabeto e metodo dell’insegnamento che permette ai sordomuti di parlare che è poi servita come riferimento per il lavoro dell’Abate De l’Epée.
Con l’avvento dell’Illuminismo, nel XVIII secolo la scarsa importanza data fino a quel momento ai sordi fu messa in discussione; è proprio in questo periodo che si fa strada l’insegnamento dell’Abate De l’Epée. Charles-Michel De L’Epée, nato a Versailles nel 1712, è stato un sacerdote e Grande Educatore dei Sordi di Francia. Qualche anno dopo fondò e diresse l’Istituto Nazionale per sordomuti a Parigi, si trattava della prima istituzione pubblica dedicata all’educazione dei sordi a livello europeo e mondiale e senza distinzione di sesso e ceto sociale. L’Abate fu l’ideatore di un metodo di insegnamento che riuscì ad entrare in varie scuole europee: il metodo mimico-gestuale. La sua missione era quella di istruire i sordi e lo faceva usando una scrittura a immagine visiva e il suo metodo; arrivò persino a imparare altre quattro lingue europee, l’italiano, lo spagnolo, l’inglese e il tedesco. “… solo conoscendo queste lingue, potrò istruire convenientemente anche i sordomuti delle altre nazioni e propagare in Europa l’arte che li potrà togliere dall’ignoranza” disse l’Abate.
Grandi studiosi della lingua dei segni sono stati anche i suoi allievi, l’Abate Sicard e August Bébian. Quest’ultimo è conosciuto per aver rivoluzionato l’insegnamento dei bambini sordi diventando il primo educatore a utilizzare la lingua dei segni naturale nell’insegnamento e ilprimo insegnante udente ad averla analizzata per creare un vero e proprio dizionario bilingue lingua dei segni-francese. Un’altra figura di rilievo è senz’altro lo statunitense Thomas Hopkins Gallaudet il quale, dopo aver frequentato un tirocinio presso l’Istituto per sordi di Parigi imparò la LSF, la Lingua dei Segni Francese, e la portò negli Stati Uniti. Qui la LSF si fuse con la lingua dei segni usata all’epoca in America e questa unione diede vita alla ASL, la Lingua dei Segni Americana. Da questo momento in poi furono aperti molti istituti nel resto d’Europa e negli Stati Uniti e iniziò a crescere sempre di più il numero di insegnanti. Tra la fine del ‘700 e la metà dell’800 anche in Italia iniziano a prendere piede scuole come quelle francesi e americane. In questo periodo in Italia si sviluppa la consapevolezza dell’importanza della lingua dei segni e nascono le prime teorie riguardo le somiglianze e le differenze tra le varie lingue dei segni e quelle parlate e tra le lingue dei segni stesse.
Il 1800 fu un anno che segnò l’interruzione dello studio delle lingue dei segni, a causa del Congresso di Milano. Al congresso furono invitati 255 partecipanti da tutta l’Europa, di questi solo tre erano sordi e senza interprete; essendo in netta minoranza furono penalizzati dai partigiani dell’oralismo italiani e francesi che erano in metta maggioranza. Fu stabilito dunque che l’uso della voce era nettamente superiore all’uso dei gesti, considerati all’epoca solo una “mimica”. I sordi furono quindi obbligati a imparare a parlare la lingua del loro luogo di appartenenza, eliminando l’idea di poter usare i segni per comunicare, questa veniva usata solo di nascosto e in rare occasioni. Non avendo contatti con gli adulti i bambini idearono un linguaggio visivo e continuarono a segnare segretamente. Non parlare più nelle lingue dei segni ha fatto sì che il processo di sviluppo e di arricchimento venisse rallentato e impoverito.
Intorno agli anni ’70 del XX secolo la comunità sorda riesce finalmente a liberarsi dalla sottomissione e a rivendicare il riconoscimento della lingua dei segni come una lingua vera e propria e l’integrazione nelle scuole per quei bambini che fino a quel momento avevano dovuto nascondersi. Si tende ad associare alla data della rinascita della comunità sorda il 60° congresso della Federazione mondiale dei sordi di Parigi tenutosi nel 1971, durante il quale è stata elogiata la ricchezza e l’efficacia della lingua dei segni. Quattro anni più tardi, durante il congresso di Washington i rappresentanti europei hanno preso coscienza che era necessario colmare il ritardo accumulato durante gli anni della sottomissione.
La ricerca torna dunque a fiorire e sempre più studiosi iniziano ad interessarsi alle lingue dei segni, studiosi come il linguista statunitense William Stokoe. Le lingue dei segni hanno iniziato a prendere sempre più piede “venendo sempre più riconosciute come lingue vere”.
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