Tesi di: Carlo Marino della Fazia
Perché scegliere i racconti di viaggio di un disegnatore canadese come oggetto di ricerca e di studio?
Come possono dei fumetti, per quanto ben fatti, attrarre l’attenzione di uno studente di mediazione linguistica e culturale, tanto da indurlo a svolgerci sopra una tesi di laurea?
Se è vero che il genere della “graphic novel” ha ormai assunto un ruolo importante nell’ambito delle pubblicazioni attuali, attirando a sé un vasto pubblico di lettori, specie tra i giovani, devo però ammettere che non è stato questo il motivo che mi ha spinto ad addentrarmi in un simile settore letterario.
Dopo aver avuto tra le mani, del tutto casualmente, una delle opere di Guy Delisle, sono stato subito attratto dal titolo, dalla bellezza dei disegni, ma soprattutto dalle rapide pennellate con cui egli dipingeva, con efficacia e maestria, i luoghi e le persone, facendo delle vere e proprie cronache di viaggio.
In effetti, i suoi originali “reportage” rientrano nella cosiddetta categoria del “travelogue”, ossia un resoconto personale di quanto vissuto in prima persona dallo stesso disegnatore, spaziando dagli aspetti più personali a quelli sociali, economici, politici.
Leggendo le sue pagine, insomma, si viene trasportati in una realtà distante, spesso inquietante ma anche interessante, giungendo a sentirsi parte di quella esperienza stessa, condividendo con l’autore sensazioni, emozioni, riflessioni, dubbi, paure.
Ciò che maggiormente mi affascina dell’occhio di Delisle è il suo essere sempre curioso, pronto a comprendere le culture altre, sensibile ai gravi problemi che spesso le popolazioni con cui egli viene a contatto devono affrontare. Eppure, accanto alla sua attenzione verso i temi sociali e i diritti umani, è presente in lui uno sguardo ironico, disincantato, che non si rifugia mai dietro alle convenzioni, alle false certezze, ai pregiudizi, sapendo ammettere, di tanto in tanto, sconfitte e incomprensioni di difficile soluzione.
L’incontro tra culture, dunque, è da lui visto come un tentativo sempre aperto ma non sempre portatore di successo. Bisogna quindi essere pronti a tornarsene a casa propria senza aver compreso tutto, o avendo compreso solo in piccola parte la mente e il cuore di chi avevamo di fronte.
Nessuna presunzione allora: anzi, la convinzione di aver capito molto è spesso pura illusione o peggio è il segno di chi vuole ricondurre tutto a un quadro razionale e ben delineato, dimenticandosi che il mondo non è fatto così!
Molti mali del nostro passato sono venuti dai pregiudizi culturali, dalla visione eurocentrica del mondo, dall’idea di voler assimilare il diverso alle nostre categorie, ritenute giuste a priori per il solo fatto che ci sono state trasmesse dalla nostra tradizione, dal nostro bacino culturale.
Va riconosciuto senza dubbio che molti passi avanti sono stati fatti in tal senso e che le connessioni più fitte e più rapide dovute allo sviluppo tecnologico ed alla globalizzazione hanno necessariamente cambiato la nostra percezione della realtà.
Eppure, ancora molti sono i problemi da affrontare, i pregiudizi da smantellare: per questo ritengo imprescindibile per chi, come me, vorrebbe fare della mediazione linguistica una scelta professionale, approfondire tali problematiche cogliendo ogni spunto di riflessione utile a comprendere meglio la complessità del nostro tempo.
Ben venga, quindi, un autore come Guy Delisle che, con attenzione e delicatezza, con la serietà e la leggerezza del suo tratto, contribuisce a svolgere questo compito, senza mai dimenticare di strapparci un sorriso.
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