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Backstage: tra il palcoscenico e la mia realtà

Mediazione Linguistica
  • 15 Sep 2023

Tesi di: Lucrezia Bellamaria

Ho deciso di iscrivermi in università all’età di 26 anni dopo un percorso già avviato come danzatrice classica professionista nei Corpi di Ballo delle fondazioni lirico sinfoniche più importanti d’Italia, perché le lingue straniere sono sempre state un altro tra i miei maggiori interessi.

Il non potermi confrontare con qualcuno che parla un idioma diverso dal mio mi ha sempre spinta a voler imparare più lingue possibili per poter comunicare con chiunque.

Ho infatti scelto la facoltà di mediazione linguistica alla SSML Gregorio VII di Roma e già appena iscritta al primo anno avevo le idee ben chiare.

L’argomento della mia tesi di laurea avrebbe riguardato la danza.

Avrei anche potuto scegliere qualcosa di diametralmente opposto ma ad interessarmi è sempre stata la mediazione linguistica.

Non ritengo sia molto distante da ciò che ho fatto per tutta la vita, la ballerina, anzi trovo sia molto affine ed ora vi spiego il perché.

Che cos’è la MEDIAZIONE LINGUISTICA?
Per mediazione linguistica s’intende un’attività complessa volta a favorire la comunicazione e comprensione tra due o più individui che condividono un gap linguistico-culturale che rende difficoltoso il dialogo.

Chi è e cosa fa il MEDIATORE LINGUISTICO?
Il mediatore linguistico è un esperto della comunicazione interculturale che favorisce lo scambio di informazioni e l’avvicinamento tra due o più soggetti appartenenti a differenti culture.

È dunque un professionista che non si limita solamente a tradurre conversazioni tra persone che parlano lingue diverse, ma si occupa anche di mediare la comunicazione dal punto di vista culturale.

Ci sono differenti tipi di linguaggio e/o comunicazione ed ogni modalità è fondamentale.

Iniziamo distinguendone tre tipi essenziali:
- VERBALE: che avviene tramite parole, emesse a voce o scritte;
- PARA VERBALE: che declina il contenuto verbale secondo alcuni elementi;
- NON VERBALE: che avviene per mezzo di movimenti del corpo come la mimica facciale o la postura.

Il LINGUAGGIO VERBALE è una forma di condotta comunicativa atta a trasmettere informazioni e a stabilire un rapporto di interazione che utilizza simboli aventi identico valore per gli individui appartenenti ad uno stesso ambiente socioculturale.

IL LINGUAGGIO PARAVERBALE riguarda il modo in cui la comunicazione viene espressa.
Il tono, il volume, il ritmo e il timbro della voce, le pause, le risate, il silenzio ed altre espressioni sonore, come ad esempio tamburellare sul tavolo con le dita o emettere suoni.

Il LINGUAGGIO NON VERBALE è quel processo di scambio di informazioni e messaggi che va oltre il linguaggio semantico.
È quel tipo di comunicazione che avviene senza l’uso della parola, ma tramite segnali non verbali, come sguardi, espressioni del viso, gestualità e movimenti del corpo.
Una materia che mi ha incuriosita moltissimo durante il percorso della triennale è stata proprio LINGUISTICA ITALIANA nella quale ho approfondito la distinzione dei vari metodi per comunicare tramite la lingua, sia essa PARLATA, SCRITTA o TRASMESSA.

Quella PARLATA è la più immediata: con l’uso della nostra voce emettiamo dei suoni per poter dialogare apertamente tramite parole, che compongono FRASI, DISCORSI, che possono diventare a loro volta MONOLOGHI o DIALOGHI, il tutto avvalorato da accenti, intonazione della voce, toni alti, bassi, acuti e gravi.

Quella SCRITTA che sfrutta la capacità di scrittura, punteggiatura, strofe, sonetti, per dare pause e senso a ciò che si vuole esprimere, è ugualmente molto diretta perché tramite la stesura di parole espresse nere su bianco, con l’aiuto della punteggiatura che dà respiro e tono alle frasi, si crea un contenuto a volte più chiaro e dettagliato rispetto al parlato.

C’è sempre stata una contestazione da parte degli storici per quanto riguarda il confronto tra la lingua parlata e quella scritta, sottolineando il fatto che l’oralità valeva una volta soltanto, mentre la scrittura assumeva una posizione di privilegio in quanto depositaria delle grandi tradizioni letterarie dei classici. Basti effettivamente pensare al proverbio “VERBA VOLANT SCRIPTA MANENT” che trae origine da un discorso di Caio Tito al senato romano, che insinua la prudenza nello scrivere, perché, se le parole facilmente si dimenticano, gli scritti possono sempre formare documenti incontrovertibili.

Ad ogni modo, sia essa scritta o parlata, sono entrambe modalità di comunicazione VERBALE essenziali.

C’è anche la LINGUA TRASMESSA definita da Francesco Sabatini come quella utilizzata dai mezzi di comunicazione di massa a distanza (telefono, radio e televisione) che trasmettono da un luogo anche molto lontano da quello in cui si trovano i destinatari dello scambio.

Non meno importanti, però, sono i LINGUAGGI NON VERBALI, già sopra citati, grazie ai quali secondo lo psicologo sociale Michael Argyle in una comunicazione faccia a faccia utilizziamo: espressione facciale, contatto visivo o sguardo fisso, gesticolazione, postura del corpo, tatto e comportamento spaziale o prossemica.

Senza, dunque, l’uso delle parole ma attraverso canali diversificati.

Perché una tesi sulla danza in una facoltà di mediazione linguistica per interpretariato e traduzione? Cosa le accomuna?
Attraverso la conoscenza approfondita delle lingue, chi studia mediazione linguistica è in grado di fare da tramite, da “ponte” non solo tra lingue diverse ma anche tra culture diverse.
Questo fare da tramite, questo “tradurre”, questo “mediare”, questo trasferire da una lingua all’altra mi ricorda molto una trasformazione che avviene anche nella danza.

Nella mediazione linguistica si traduce da una lingua ad un’altra come nella danza si traducono le parole in passi.
Si tratta di movimenti del corpo che “scrivono”, “raccontano”, “traducono”, “parlano”, “disegnano”, “esprimono”...
È assolutamente da considerarsi un linguaggio non verbale. Nello specifico lo studio dei caratteri individuali attraverso i movimenti caratteristici del corpo si chiama CINESICA.
È dunque in assoluto una mediazione anch’essa, basti pensare al fatto che i danzatori possono essere di etnie diverse, di culture diverse, di nazioni diverse, di continenti diversi e per questo parlare lingue differenti.

Questa diversità però, nel mondo della danza, quasi non si nota se si è in una sala da ballo e si ascolta un coreografo presentare i passi di un esercizio e/o un balletto.

Una persona non esperto in materia, profano per così dire, quasi sicuramente non capirebbe una singola parola delle indicazioni che sta dando il maestro, mentre invece i ballerini nonostante, come anticipato, possano provenire da paesi diversi, è come se parlassero la stessa lingua.

In questo caso incidono molto i linguaggi settoriali, nati per riuscire a comprendersi meglio in un determinato settore, tra un gruppo di persone che svolgono la medesima attività.

Non si tratta di un codice segreto per non farsi capire dagli altri ma di un codice specifico per poter essere compreso meglio tra i professionisti del mestiere. Il linguaggio della danza è universale, praticamente tutti i passi base sono in lingua francese, perché per volere di Luigi XIV venne istituita nel 1661 l’Académie Royale de Danse di Parigi: un’associazione di maestri di danza che per la prima volta codificò passi e movimenti della danza classica, motivo per il quale la lingua universalmente adottata per la terminologia didattica è il francese.

In generale tutti nella sala capiscono ciò che devono andare ad eseguire creando così una situazione di inclusione e uguaglianza tra tutti.

Si tratta proprio di inclusione: se andiamo a valutare questo tipo di attività, per quanto possa avere delle regole ferree, rigide, a volte sin troppo dure, è sicuramente un’arte meravigliosa che ci fa sentire parte di una grande famiglia.

È un settore molto particolare quello della danza, soprattutto quello che andrò ad affrontare io: quello della danza classica.

La mia non è una tesi sulla danza in generale, andremo piuttosto a parlare di tutto ciò che gli spettatori non sanno e forse nemmeno immaginano, ciò che proprio non si vede, quello che agli occhi del pubblico risulta probabilmente un segreto, quello che non è sotto i riflettori, tutto ciò che accade dietro le quinte quando il sipario è chiuso.

Quello che solitamente tutti sono curiosi di sapere quando dico che sono una ballerina classica è: “hai iniziato da piccola?”, “come funziona?”, “quanto è difficile?”, “e per trovare lavoro?”...

Sono tutte domande che hanno sempre tormentato anche me, alcune forse mi tormentano ancora oggi.

Non è sicuramente un ambiente semplice, tantomeno così etereo come appare, non è così facile arrivarci e soprattutto rimanerci per lungo tempo.

È un’arte tanto affascinante quanto complicata.

Non è tutto lustrini e paillettes; non è, come si dice, tutto oro quello che luccica.

È complesso farne parte e farlo diventare un lavoro; si inizia per lo più dalla tenera età e forse è proprio questo che ti dà quel senso di SACRIFICIO del quale tutti ti parlano da subito.

“Sarà dura!” … “Ti dovrai sacrificare!”...

Frasi sentite e risentite che rimbombano nella mia testa sin da quando ho intrapreso questa disciplina a livello professionale.

Sembrerebbe, detta così, quasi “un peso” e per molti effettivamente lo diventa. Motivo per il quale non tutti portano avanti questo percorso o almeno non per sempre.

Si possono raggiungere ottimi traguardi ed una volta raggiunti quelli, porsi nuovi obiettivi, anche non del tutto inerenti ad essi.

Obiettivi che possono essere affini a ciò che si è sempre fatto oppure intraprendere nuove strade portando ovviamente con sé la propria esperienza, bagaglio essenziale se si parla dell’arte della danza.

Ci si immerge in un mondo speciale, di forte impatto emotivo, psicologico, fisico, che inevitabilmente tocca le corde dell’anima.

Personalmente penso sia tra le attività più interessanti di tutte, il ballo, muoversi senza dover dire una parola ed esprimersi danzando.

Non parlando la stessa lingua possiamo comprenderci, possiamo comunicare uno stato d’animo, un’emozione quali la rabbia, la gioia, la tristezza, la frustrazione, l’insicurezza, la voglia di vivere, la paura, sempre senza dire una parola.

Impressionante quanto sia completa quest’arte.

Puoi danzare da sola, in coppia, in un passo a due, in un passo a tre, a cinque… in un gruppo, puoi essere circondato da un intero corpo di ballo, da cento persone, mille, migliaia.

La danza è INCLUSIONE, è collaborazione, è passione, è amore, nonostante non si conoscano tante dinamiche che si vengono a scoprire solo quando ne entri a far parte. Ciò non deve comunque togliere quell’energia unica che crea soltanto LA DANZA... NONOSTANTE TUTTO.

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