Tesi di: Nicole Feoli
L’adattamento dei dialoghi in lingua italiana è un mezzo grazie al quale decine di migliaia di film, serie tv, documentari, e altri prodotti cinetelevisivi stranieri possono essere accessibili sui nostri schermi.
Questo tipo di traduzione audiovisiva trova le sue origini negli anni ’30 insieme alla nascita del cinema sonoro; nel corso del tempo, grazie all’evoluzione della tecnologia e della crescita esponenziale dei prodotti audiovisivi da tradurre, le tecniche si sono evolute in maniera notevole.
Se infatti inizialmente la figura professionale del dialoghista era svolta da una persona inesperta, successivamente, grazie a una ricerca della qualità delle traduzioni e un aumento della sensibilità del pubblico rispetto ad esse, si è arrivati a un professionista con una preparazione adeguata. Tuttavia, questa pratica nel contesto italiano è sicuramente quella più diffusa ma anche criticata in quanto significa non solo analizzare lo scenario teorico e pratico che si presenta, ma affiancarsi inevitabilmente a polemiche relative alla mancata equivalenza con il dialogo originale.
In particolar modo in questa tesi vorrei analizzare il complicato mondo dell’adattamento dei dialoghi in lingua italiano di alcune opere della Walt Disney, cui difficoltà sono legate alla necessità sia di rispettare i limitati spazi destinati alla collocazione delle battute che l’inimitabile tradizione del brand Disney. L’obiettivo, quando si affrontano adattamenti di questo spessore, è quello di riuscire a trovare soluzioni linguistiche valide ma che siano allo stesso tempo in grado di mantenere quel fascino innato e quel significato implicito che hanno i personaggi disneyani.
Ed è proprio in questo contesto che è molto facile imbattersi in critiche soprattutto per quanto riguarda il lavoro dei parolieri nei testi delle canzoni adattate: un esempio non troppo lontano dai nostri giorni è proprio quello di Frozen-Il regno di ghiaccio. Il caso in questione riguarda la canzone “Love Is an Open Door” che nella versione italiana è diventata “La Mia Occasione”: la critica verteva proprio sul concetto della porta, una costante negativa presente durante il film (le due sorelle divise da una porta, le porte del castello sempre chiuse, Hans che chiude la porta della cella in cui è rinchiusa Elsa), che tuttavia in italiano non è stata mantenuta come tale ma sostituita con la parola “occasione”.
Lorena Brancucci, che ha curato l’adattamento del film, ha completamente eradicato dai suoi testi il concetto portante di Frozen senza metterne nemmeno un riferimento minimo, presente in tutte le altre lingue maggiori, compreso il giapponese, e così facendo ha in qualche modo alterato lo spirito originale del film, dando agli spettatori italiani una versione che è del tutto coerente in sé, ma spogliata proprio di quella che era una delle sue caratteristiche principali. Allo stesso tempo bisogna però tenere in conto che il tema centrale della pellicola non sono le porte, bensì l’importanza della famiglia; infatti, per la prima volta nella cinematografia Disney a salvare la principessa è proprio la sorella. Dunque, è un film incentrato sulla rivalsa, sulla cosiddetta “seconda occasione” ed è per questo che il prodotto finale è una traduzione che risulta coerente con il messaggio originale.
A sostenere la tesi della Brancucci vi è inoltre la questione della metrica: la lingua inglese e quella italiana sono completamente antipode.
La prima è sintetica e diretta ed è basata, prevalentemente, su termini mono o bisillabici, con accentazione, il più delle volte, tronca. La seconda, al contrario, è una lingua prolissa che si compone di termini plurisillabici, con accentazione prevalentemente piana, sdrucciola o bisdrucciola. La conseguenza diretta è che in italiano la scelta è limitatissima, perché di vocali accentabili ne abbiamo solo cinque, alle quali si possono sommare al massimo i dittonghi. La scelta dei termini rischia, pertanto, di essere molto monotona se non si trovano alternative.
Inoltre, bisogna rispettare il più possibile il sincronismo labiale del personaggio, altra nota dolente dell’adattamento. Il vincolo della metrica è gravosissimo, proprio perché l’orchestrazione dei brani è studiata per testi in lingua inglese e ne rispetta, in pieno, le accentazioni. Tali accentazioni sono totalmente sfavorevoli quando si traduce verso l’italiano. Se da un lato è fondamentale, per la riuscita finale del brano, rispettare in pieno la metrica in modo da rendere il brano comodamente e fluidamente cantabile per l’interprete, dall’altro lato c’è il problema del sincronismo labiale. Quest’ultimo, a differenza che in passato, è oggi considerato importantissimo.
Le nuove tecniche di animazione hanno reso i cartoni animati talmente veritieri da sembrare umani e i loro movimenti labiali sono definiti al punto di dover essere curati fin nei minimi dettagli. Questo fa sì che, a volte, termini inglesi che finiscono, ad esempio, con una labiale o una dentale, costringano a usare termini italiani che abbiano una sillaba finale in più, proprio per andare a coprire il movimento della bocca in quel punto – movimento che, diversamente, resterebbe “muto”. Un esempio a questo proposito può essere quello di “La bella e la bestia” del 2017. Belle, nella prima canzone, canta «Every morning just the SAME, since the morning that we CAME». Il contesto diatopico è quello di un paesino nel quale la protagonista ed il papà si sono trasferiti, un luogo dove non succede mai nulla di interessante e dove il divertimento maggiore sembra essere quello di giudicare e criticare chi, come Belle, appaia “diverso” rispetto alla routine del paesino stesso. Nella versione italiana del cartone animato, l’adattamento è «È dal giorno che arrivai, che non è cambiato mai». Nel film questa soluzione non si è potuta mantenere proprio per via del synch, perché si vede Belle distintamente aprire e chiudere la bocca, sul finale delle due frasi, proprio per la labiale finale, sia su same che su came. È evidente che, non avendo in italiano parole che finiscano per “m”, è stato necessario aggiungere una sillaba che andasse a coprire quel “battito” in più, per rendere l’effetto ottico più gradevole e naturale. Da qui la traduzione: «È dal giorno in cui arrivammo, che mio padre e io pensammo: questo posto è provinciale».
Dunque, adattare un prodotto ha molte più insidie di quel che il pubblico inesperto possa pensare ed è un processo articolato in cui talvolta è necessario trovare dei compromessi.
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