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Interprete: una professione d’attualità

Mediazione Linguistica
  • 06 Sep 2018

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Un esempio rappresentativo è certamente il ruolo di interprete nelle principali istituzioni internazionali, come nel caso del Parlamento Europeo, recentemente occasione di approfondimento di una nota testata giornalistica online: il Post.

L’articolo porta l’attenzione sul compito indispensabile di quelle persone nascoste dietro i vetri scuri della sala stampa, che nascondono le cabine dove gli interpreti svolgono il proprio lavoro di traduzione dei dibattiti in atto nel Parlamento Europeo. Fare l’interprete al Parlamento Europeo è certamente una sfida: “bisogna sapere almeno tre-quattro lingue passive, superare un concorso per diventare funzionario, a cui partecipano centinaia di persone, oppure un apposito esame professionale per entrare in una lista di freelance che collaborano a chiamata (ma che sul lavoro vengono trattati esattamente come i funzionari). Il livello è molto alto, e alcuni sono talmente bravi che sembra siano loro a pronunciare il discorso che stanno traducendo.”.
Gli interpreti del Parlamento traducono per non più di mezzora consecutiva, e quasi esclusivamente nella loro lingua materna, per assicurare concentrazione e qualità, oltre che fedeltà del messaggio trasmesso. Perché, allora, la conoscenza di, in media, altre quattro lingue? All’interno del Parlamento Europeo, le lingue ufficialmente parlate sono 24, ovvero quelle dei Paesi che fanno parte dell’Unione. Ma come fare a garantire che ciascuna di queste 24 lingue sia tradotta in ognuna delle altre?

Per ovviare a questo tipo di difficoltà – ricorda l’articolo – all’interno del Parlamento si utilizzano due metodi:
“Il relay è il più convenzionale. Se bisogna tradurre una parlamentare che parla ungherese, forse la più oscura fra le lingue ufficiali europee, può capitare che nelle cabine ci siano pochi interpreti che la capiscono. Quei pochi interpreti fanno allora da ponte: traducono l’ungherese in una lingua che avrà sicuramente più parlanti – come inglese, francese, italiano o spagnolo – e quella traduzione verrà a sua volta tradotta nelle altre lingue principali. Si perde un po’ di immediatezza – la distanza fra il discorso originale e la traduzione in simultanea è di un secondo circa, e nel caso di un relay diventa di tre secondi – ma la regola cardine di tradurre nella propria lingua materna viene rispettata”.
“Il retour funziona grazie al principio opposto: un interprete ascolta un discorso nella sua lingua materna e lo traduce in una lingua che ha studiato, magari l’inglese o il francese, cosicché altri interpreti possano “attaccarsi” e tradurlo nella propria lingua. Oltre ad essere poco immediato, come il relay, il retour ha il rischio aggiuntivo di fornire un discorso con ancora meno sfumature, visto che quella in cui traduce non è la sua lingua materna. Aiuta però a cogliere meglio il senso del discorso, che si svolge nella lingua materna dell’interprete ponte: e per questo oggi si tende a usarlo molto più spesso che in passato.”

Fonte: https://www.ilpost.it/2018/07/25/interpreti-parlamento-europeo/